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B2C, documentari – “Atlantide – Il mostro di Firenze, un caso aperto”

B2C, documentari – “Atlantide – Il mostro di Firenze, un caso aperto”

Provincia di Firenze, 1968-1985: otto i duplici omicidi avvenuti in questi anni verso tarda sera tra le colline circostanti la città d’arte che tutti incanta per la sua dolce e malinconica bellezza, nascondendo però da sempre nelle tenebre innumerevoli segreti, giochi di potere e, spesso, macabri delitti. Gli omicidi del mostro di Firenze sono intrisi di una ferocia luciferina tale da averli fatti ricollegare, anche tra le prime ipotesi degli inquirenti, a rituali satanici di qualche setta oscura.

Nel buio delle notti tra il 1974 e il 1985 un gruppo di assassini si aggiravano nelle campagne isolate nella periferia di Firenze alla ricerca delle loro vittime: sette coppie di innamorati vennero massacrate durante questo lasso di tempo. Gli investigatori iniziarono a seguire la pista sarda, ma senza successo. Ma un nuovo capo della Mobile era appena stato nominato…: da quel momento iniziarono le indagini di Michele Giuttari, il quale, rileggendo i verbali degli interrogatori, iniziò a sospettare che fossero anche altri… i mostri coinvolti in quegli efferati delitti che parevano essere legati a macabri sacrifici rituali.

Michele Giuttari si trovava già a Firenze da qualche anno poiché era il responsabile del settore investigativo della Direzione Investigativa Antimafia (DIA) e, all’epoca, si stava occupando delle indagini sugli attentati del 1993, tra cui quello avvenuto a Firenze il 27 maggio, in via dei Georgofili sotto la torre del Pulci. Tutti i riferimenti portavano a una strategia del terrore perpetrata da Cosa Nostra. All’epoca il suo grado all’interno della polizia era quello di vice questore aggiunto e stava attendendo una promozione, che non tardò ad arrivare: venne nominato capo della Squadra Mobile di Firenze, anche se dapprima la sua destinazione, con la stessa mansione, sarebbe dovuta essere quella di Bari. Da quel momento gli toccò il compito di “sfrondare l’albero per vedere la foresta. E chi vi si nascondeva”. Dal primo sospettato dovette risalire ai suoi complici con indagini lunghe e pazienti in una corsa contro il tempo che stringeva. Le indagini, poco dopo, si concentrarono su Pietro Pacciani, un contadino del luogo che venne condannato in primo grado nel 1994. Egli, per la crudeltà degli omicidi, fu soprannominato “Mostro”.

Questi gli efferati omicidi. – Il 15 settembre 1974, poco distanti da Borgo San Lorenzo e dal fiume Sieve, due cadaveri giacevano a bordo di una Fiat 127. Le vittime, Stefania e Pasquale, erano state raggiunte, mentre si erano appartati con l’auto, da coltellate e da proiettili di pistola calibro 22 Long Rifle a piombo ramato (H22). Le coltellate sul corpo della vittima erano state inferte dal tronco alla zona del pube. I dettagli dell’omicidio di Stefania sono raccapriccianti. Nella buia notte di novilunio della sera precedente le vittime erano state dilaniate brutalmente, infierendo in modo particolare nelle zone più intime del corpo di Stefania. Questo primo omicidio si concluse senza il ritrovamento del colpevole. Un anno dopo venne profanata la tomba di Stefania nel cimitero di Borgo San Lorenzo.

Gli altri omicidi avvennero il 6 giugno 1981, il 22 ottobre 1981, il 19 giugno 1982 e il 9 settembre 1983: erano tutte plumbee notti di novilunio. In tutti questi delitti si erano colpite delle coppiette che si erano appartate, a parte l’ultimo: forse per sbaglio erano stati uccisi due ragazzi tedeschi, uno dei quali aveva i capelli lunghi. Ma la serie di omicidi non era ancora finita: in una sera afona di luna… in una notte di plenilunio, ancora il mostro non aveva terminato la sua feroce azione che pareva quasi seguire un rituale: tra il 29 e il 30 luglio 1984 altri due ragazzi vennero uccisi. Tutti gli omicidi seguivano una logica simile, volta a colpire il corpo delle donne, talvolta scuoiato anche in maniera precisa nelle loro zone più intime e a uccidere i loro compagni.

Ma un’altro duplice omicidio aveva preceduto quelli sopracitati: il 22 agosto 1968, in una strada di campagna non lontana dal cimitero di Signa, vennero ritrovati sui sedili anteriori i corpi di due amanti. Su quello posteriore dormiva il figlio della donna, che fu risparmiato: fu proprio lui a dare l’allarme. Ma in questo caso la colpa venne data al marito di lei, un muratore sardo. Il loro matrimonio era andato a finire male a causa dei numerosi tradimenti della donna, che, inoltre, a Prato aveva iniziato a frequentare sardi e siciliani appartenenti alla malavita organizzata.

Tutti gli efferati assassini avevano un unico comun denominatore che poteva essere considerato la firma del “Mostro”: i proiettili esplosi erano di una pistola calibro 22 con una “H” punzonata sul fondello.

Il primo profilo psicologico del mostro di Firenze.- Semmai “i delitti si diversificano
per tecnica esecutiva, pur risultando unitariamente interpretabili secondo una
prospettiva evolutiva”.
Man mano che spara, l’assassino migliora il tiro: il che depone per un soggetto
inizialmente non espertissimo, al più dedito al tiro occasionale, ma con discrete doti
naturali: ormai ha appreso ad usare bene la propria arma, pur non raggiungendo
livelli di tipo professionale.
L’uso dello strumento da punta e taglio consente di parlare di determinazione e
precisione. Ovvero: buona esperienza nelle azioni da taglio, senza che ciò
corrisponda necessariamente ad esperienza settaria e chirurgica.
Il delitto è costantemente premeditato, calcolato nei minimi particolari ed eseguito
con freddezza e lucidità, malgrado si possa ipotizzare un comportamento disordinato
ed eccitato, specie nelle prime fasi dell’azione caratterizzata dall’uso dell’arma da
fuoco. Se ne conclude che l’omicida non è un malato di mente già connotato come
tale e con problemi di assistenza, senza che ciò nulla tolga al carattere
psicopatologico delle sue azioni.
Tutti i delitti sono di natura sessuale.
La dinamica psicologica mette in evidenza un crescendo di componenti feticistiche e
sadiche; sono invece modesti i fattori attestanti personalità con pulsionalità incontrollata e risposte estemporanee a situazioni – stimolo. Questo porta ad
ipotizzare un soggetto a matrice culturale non italiana (in quanto straniero, o di
origine straniera, o acculturato secondo modelli di tipo protestante nei paesi
anglosassoni o di lingua tedesca).
La messa a punto del delitto lo impegna verosimilmente per molto tempo: cerca le
situazioni più favorevoli, gli è invece indifferente, pertanto casuale, la scelta delle
vittime. Forse l’omicida dedica buona parte del suo tempo allo studio dei luoghi e
dell’occasione propizia: li cerca vicino a posti dove i giovani si ritrovano e
presumibilmente lontano da dove ha commesso l’ultimo delitto.
Quando è in caccia è possibile che abbia sempre con sé il suo strumentario. Inoltre: la
costante assenza di elementi relativi a sessualità agita sul luogo del delitto fa supporre
un individuo connotato nel senso della iposessualità, ovvero con sessualità vissuta
prevalentemente in fantasia, e con una complessione fisica ed ormonale più vicina
all’ipo che all’ipergenitalismo. (Tratto da: “Il primo profilo psicologico del mostro di Firenze”)

All’interno di una piazzuola circondata da alti e affusolati cipressi e attigua al cimitero, una coppia di giovani francesi si era accampata in una piccola tenda non lontana dalla strada. Questo fu l’ultimo delitto del mostro (e dei suoi complici). All’epoca, quando l’assassinio non era ancora stato scoperto, un brandello del seno della ragazza fu spedito alla Procura della Repubblica di Firenze in una lettera anonima. Nell’indirizzo, composto con le lettere di giornale ritagliato, vi era un errore ortografico (Republica anziché Repubblica, un errore che commetteva Pacciani). La busta era indirizzata a Silvia Della Monica, PM incaricato delle indagini, nonostante da qualche anno avesse abbandonato il caso. La scoperta dei corpi avverrà solo nel tardo pomeriggio di lunedì. I cadaveri furono trovati da un cercatore di funghi due ore prima che la lettera era giunta in Procura: il killer probabilmente voleva annunciare a chi stava investigando l’avvenuto ultimo duplice delitto attraverso la sua stessa missiva.

Tra le numerose lettere anonime pervenute in questura, attraverso le quali si denunciavano possibili persone riconducibile al “Mostro”, giunse la soffiata contro Pacciani, un uomo robusto, dalla corporatura tracagnotta e il viso che spesso diventava rosso paonazzo, ignorante, dal carattere irascibile, motivo per cui gli si attribuì il soprannome “Vampa”, prepotente, bestemmiatore, violento, capace di ogni bestialità anche con le figlie, con le quale ebbe rapporti sessuali per i quali fu condannato. Le perquisizioni ebbero inizio. Tra i vari oggetti posseduti da Pacciani, solo tre avevano valenza probatoria: una cartuccia trovata in giardino (H22), un blocco da disegno e un portasapone: questi ultimi due potevano essere realmente appartenuti alle vittime del 1983. Inoltre, furono scoperti anche dei disegni satanici, poi rivelatisi opera di un artista cileno.

Dapprima, quindi, fu sospettato e indagato Pacciani, poi il suo amico Vanni, per poi risalire, attraverso una serie di interrogatori di persone anche coinvolte in giri di prostituzione, a un mago siciliano, Salvatore Indovino, che, dapprincipio frequentava i bar e i giri di siciliani della zona di Prato, ma poi si trasferì nella zona di San Casciano. Egli, in una piccola porzione di colonia di questa zona a sud di Firenze, era solito, ogni sabato sera, assieme a un gruppo di persone, fare messe sataniche, unite a orge e consumo di alcool.

Pacciani venne arrestato con l’accusa di essere l’omicida delle otto coppie il 17 gennaio 1993. Egli fu condannato in primo grado il 1º novembre 1994 con la condanna dell’imputato da parte del tribunale di Firenze a più ergastoli per sette degli otto duplici omicidi, ma prosciolto in secondo grado, il 13 febbraio 1996, dopo aver passato in carcere 1.100 giorni, per non aver commesso il fatto. A rigor di logica… non poteva avere commesso da solo quegli efferati e macabri omicidi, ma era più probabile che li avesse commessi con degli aiutanti, che in seguito furono scoperti e chiamati “compagni di merende”. Inoltre, egli, oltre a definirsi totalmente estraneo ai delitti, voleva dare di sé anche l’immagine dell’agnelluccio e del lavoratore della terra agricola. Però, mentre si aspettava la successiva sentenza, il principale sospettato morì misteriosamente nella sua abitazione di Mercatale: era il 22 febbraio 1998, alla vigilia dell’inizio del secondo processo d’appello: fu trovato morto con i pantaloni abbassati e il maglione tirato in alto fino al collo. Inoltre, il cadavere aveva all’altezza del pube uno straccio imbevuto di varichina e fermato al maglione con tre spille di sicurezza. L’uomo, ormai morto, era stato rinvenuto dai carabinieri a pancia sotto. Dall’esame tossocologico effettuato successivamente fu rivelato che nel sangue vi erano tracce di un farmaco antiasmatico fortemente controindicato per lui, che non soffriva di asma ed era invece affetto da una malattia cardiaca.

L’inchiesta avviata dalla procura di Firenze ha portato alla condanna in via definitiva di due uomini identificati come autori materiali di quattro duplici omicidi, Mario Vanni e Giancarlo Lotti, quest’ultimo reo confesso e chiamante in correità dei presunti complici, mentre il terzo, come già sopra riportato, Pietro Pacciani, condannato in primo grado e successivamente assolto in appello, è morto prima di essere sottoposto a un nuovo processo di appello, da celebrarsi a seguito dell’annullamento nel 1996 della sentenza di assoluzione da parte della Cassazione.

Ma potevano degli uomini rozzi e ignoranti come il “Mostro” e i suoi “compagni di merende” arrivare da soli a progettare omicidi talmente minuziosi da sembrare collegati a riti esoterici-satanici o erano solo dei manovali, assieme ad alcune prostitute del luogo, di un livello superiore occulto e segretissimo che agiva nell’ “oscurità delle tenebre”? Queste le domande rimaste irrisolte, anche se molti riferimenti potevano essere correlati a famiglie molto in vista e importanti di Firenze e toscane che, secondo ricostruzioni e testimonianze, erano avvezze a fare festini a luci rosse e a celebrare riti satanici-orgiastici anche in presenza di bambini: si mettevano una tunica nera con un cappuccio in testa e bevevano con delle coppe del sangue. I feticci del “Mostro” potevano servire come amuleti nei riti magici e satanici.

 

Articolo correlato: B2C, frammenti di libri – “Il mostro. Anatomia di un’indagine” di Michele Giuttari

 

Le procure di Firenze e Perugia sono state impegnate in numerose indagini volte a individuare i responsabili esecutori materiali per quattro duplici omicidi e poi i possibili mandanti. Le ricerche, quindi, si sono focalizzate anche su un possibile movente di natura esoterica.

Ma un’altra misteriosa morte si intreccia con le dinamiche degli omicidi, quella di Francesco Narducci, un medico e professore universitario di Perugia, appartenente a una delle famiglie perugine più facoltose e in vista della città. Egli frequentava la zona di San Casciano. Morì a 36 anni, il 13 ottobre 1985, poche settimane dopo l’ultimo delitto del “Mostro di Firenze”. Un mistero è stato svelato sul ritrovamento del suo cadavere. Il 13 ottobre sul lago Trasimeno venne “ripescato” un cadavere che fu fatto passare per quello di Narducci, che era scomparso. Non venne praticata l’autopsia poiché la causa di morte per annegamento era abbastanza chiara. Nel 2002 fu disposta la riesumazione della salma. Gli esami autoptici dimostrarono la presenza di lesioni compatibili con lo strozzamento e il rinvenimento di tracce di narcotizzanti nei tessuti. Ma il cadavere nella bara non era quello che era stato ritrovato nel lago Trasimeno: c’era stata una sostituzione di cadavere. Un dato ancora più particolare faceva sospettare un possibile parellelismo con il caso Pacciani poiché sul cadavere nella bara del giovane medico è stata trovata della stoffa utilizzata solo per coprire il basso ventre. Un’ipotesi inquietante è stata formulata in merito al significato del tessuto posto sul pube: il telo può esprimere una ritualità massonica arcaicizzante di tipo egizio con funzione punitiva, il cui significato, forse, vuole indicare che il soggetto era stato anche degradato. In base a questi fatti, fu avviata un’inchiesta giudiziaria da parte della Procura della Repubblica di Perugia. Si sospettava il coinvolgimento di una loggia massonica, alla quale risultava appartenere il padre di Narducci, coinvolta nella copertura degli omicidi del “Mostro”.

Durante lo svolgimento del caso Narducci, come prassi per ogni caso, furono fatte intercettazioni telefoniche che fecero emergere la possibilità che Pacciani fosse stato ucciso dai membri di una setta satanica-esoterica perché colpevole di averli traditi. Egli fu sepolto nel cimitero di Mercatale in Val di Pesa e le sue spoglie vennero esumate il 17 luglio 2013 per essere destinate a una fossa comune.

Luglio 2019: la Procura ha chiesto l’archiviazione per gli ultimi due indagati Giampiero Vigilanti, 89 anni, ex legionario amico di Pacciani, e Francesco Caccamo un medico di 88 anni. L’inchiesta così sembra essere stata chiusa definitivamente, lasciando irrisolti innumerevoli dubbi. Luglio 2019: una nuova notizia riapre le indagini: i segni sul proiettile ritrovato nell’orto di Pacciani non sono il risultato delle impronte dell’inserimento di quel bossolo nella camera della Beretta del Mostro di Firenze, tra l’altro mai ritrovata. Una perizia firmata dal consulente balistico della procura di Firenze, Paride Minervini, attesta che tali graffi sono stati artefatti in modo artificioso. Forse che siano stati fatti ad arte per addossare senza ombra di dubbio tutte le colpe sul contadino lasciando incolpevoli, insospettabili e con i “guanti senza macchia”, i reali mandanti o i reali esecutori?

Ma questa macabra e inquietante storia non è ancora terminata: da tutta la vicenda nasce spontaneo sospettare che Pacciani e i suoi “compagni di merende” fossero solo gli esecutori materiali di un mondo nascosto, un livello superiore, al quale ogni volta che si vuole arrivare con le indagini, si viene fermati attraverso depistaggi, falsificazioni delle prove, mistificazioni e rovesciamenti della realtà, fino a giungere alla costruzione di prove false a sfavore di terzi per proteggere i mandanti non solo di assassini, ma anche di stragi, di altre efferatezze e di strani e macabri rituali.

Questo scritto è solo un’introduzione al documentario, da guardare con attenzione, del programma TV “Atlantide” andato in onda sul canale televisivo “La7”. Il viaggio proposto dal conduttore delinea con maggiore precisione il mio riassunto introduttivo, proponendo interviste fatte non solo a esperti nel settore, ma anche ad alcuni testimoni degli avvenimenti.

(Francesca Martino, nata a Varese – ’21)

Documentario:

“Atlantide – Il mostro di Firenze, un caso aperto – Puntata del 31/03/2021”

 

Bibliografia e sitografia

“Il Mostro. Anantomia di un’indagine” di Michele Giuttari (e-book e libro su Amazon).

“Il primo profilo psicologico del mostro di Firenze”.

“Atlantide – Il mostro di Firenze, un caso aperto – Puntata del 31/03/2021”.

“Il mostro di Firenze” (Wikipedia).