PROLOGO (© dott.ssa Francesca Martino)
Tic tic tic…
Un suono continuo si diffondeva tutt’intorno, invariando il suo ritmo placido, e costantemente inondava il silenzio profondo di quella stanza, “scandendo le note dell’afona melodia” del sottofondo. Nel locale adiacente le gocce stillavano dal rubinetto in una tazza quasi piena posta nel lavabo disordinatamente assieme ad altre stoviglie. “La notte era stata giovane” quella sera. Una luce al neon blu diffondeva un flebile bagliore in cucina, esaltando il lento movimento del fumo che si avviluppava con un turbine attorno alla fonte di luce. I primi chiarori dell’alba si infilavano attraverso i pertugi delle persiane del salone, rischiarando quella leggera coltre di fumo assieme alle piccolissime particelle di polvere: un flusso lento dalle biancastre tonalità e con corpuscoli luccicanti si muoveva flemme, avvolgendo con una soffocante ma intangibile stretta tutto ciò che ivi era posto. Il barlume si diffondeva poco alla volta rischiarando le pareti di quell’ambiente gradualmente e il loro colore bianco ghiaccio si stagliava su alcuni pannelli che, ancora per la flebile luce, apparivano scuri, non ancora definiti nei loro colori. Fuori il cielo era terso e la brina copriva il prato che circondava l’abitazione da tutti i lati. Non molti minuti dopo l’albore nel salone era tale da far intravedere le tonalità e le sagome di quei quadri che, tra il lento scorrere del fumo, apparivano ancora in penombra. Nero, rosso e grigio i loro colori, angeli decaduti intrisi di sangue le loro raffigurazioni: alcuni di loro aveva perso le candide ali tra le rocce, da loro guardate con disprezzo, mentre nuove ali di pipistrello adornavano le loro schiene vigorose; altri demoni aspettavano la metamorfosi lì vicino, all’interno di bozzoli che parevan avvolti da fili di lana biancastra e appiccicosa. Sul divano bianco, posto non lontano dalla parete a nord, una persona era sdraiata dormiente, con un paio di cuscini posti sopra al capo, quasi a non voler udire quel ticchettio che inondava quel luogo e a voler proteggere le chiuse ma esili palpebre dal primo nitore del mattino. Il braccio destro era a penzoloni fuori dal comodo giaciglio e la mano, proclive verso il pavimento, accennava leggermente il gesto delle corna: sul mignolo e sull’indice aveva due anelli costituiti da una fascia argentata con incastonate sulla sommità di entrambi pietre nere dalla superficie piatta, ma con un’incisione poco visibile a causa della leggerezza della scanalatura delle linee, per la posizione della mano leggermente reclinata verso il pavimento e per la scarsa luce che ancora vi era in quel luogo. Alcuni bicchiere da liquore vuoti e semivuoti si trovavano sul tavolino, altri erano anche rovesciati, e le bottiglie di superalcolici abbondavano. Una chiazza giallastra di qualche bevanda si era sparsa a macchia d’olio attorno al posacenere colmo di mozziconi e di cenere. L’olezzo, un odore acre misto a quello di sigaretta, si era diffuso anche nella cucina adiacente al salotto e, passando tra le fessure delle porte, era giunto fino al piano superiore.
Tic tic tic…
Le gocce erano ormai strabordate dal contenitore e l’acqua che fuoriusciva iniziava a riempire l’acquaio della cucina pervasa dalla confusione di una festa appena terminata.
Tic tic tic…
Il lieve suono continuava inesorabile la sua melodia monotona e costante, lontano dagli schiamazzi e dai gemiti che fino a poche ore prima avevano invaso la villa, perdendosi poco alla volta man mano che ci si addentrava nel boschetto di pini che la circondava, fino a dissolversi in prossimità della laguna dalle cupe acque tenebrose.
Nella penombra uno specchio posto sulla parete rifletteva l’immagine della persona sul divano, ma uno strano bagliore tra il verde marcio e il viola scuro sembrava fuoriuscisse da esso: due occhi taglienti guardavano in maniera fissa verso il divano, quasi a voler rapire con lo sguardo quel corpo dormiente e ignaro. Alcuni minuti dopo si dissolse gradualmente nel nulla.
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(© dott.ssa Francesca Martino)
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