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B2C, racconti – favole – fiabe – “La vecchia dell’aceto”

B2C, racconti – favole – fiabe – “La vecchia dell’aceto”

I monti brulli che circondano Palermo la cingono verso meridione e par che non vogliano lasciarle via d’uscita, concedendole, però, uno sbocco verso l’azzurro mare. Le rocciose vette dei rilievi più chiare appaiono tra le tonalità ocra della terra arsa dal sole e il paese sottostante, disordinatamente sviluppatosi nel corso del tempo, ne riprende i colori confondendosi con l’ambiente circostante. Incastonate al suo interno, delle perle architettoniche di età antecedente alla città attuale affascinono il visitatore attraendo il turismo. Una quiete inquietante pare avvolgere l’atmosfera di quel luogo, diramandosi tra le viuzze e serpeggiando tra gli svincoli mentre i suoi abitanti trascorrono le giornate con un lento e tranquillo ritmo di vita. (Dott.ssa Francesca Martino, nata a Varese – FM, ’23)

Un’anziana donna si aggirava tra le strade della città: viveva nel quartiere della Zisa. Camminava nell’oscurità della notte avvolta da una tunica nera con cappuccio: nelle ore notturne, tra il flebile chiarore della luna, pareva un’ombra che procedeva con un passo claudicante tale da far oscillare la sua immagine, e la sua sagoma veniva riflessa nella penobra via via sul selciato e sul piano terra delle case vacillando in tal guisa da creare un effetto ipnotico. (Dott.ssa Francesca Martino, nata a Varese – FM, ’23)

 

Nessuno conosceva la storia della sua giovinezza e, per i palermitani, era solo un’attempata persona mendicante e dedita alle arti magiche e ai malefici. Il suo nome da ragazza era Anna Pantò, ma col tempo modificò il suo nome di battesimo che divenne Giovanna. A trent’anni sposò Vincenzo Bonanno. Giunta la tarda età, da molte persone venne chiamata con il soprannome “Vecchia dell’aceto”, nomignolo che le fu dato, però, quando ormai la morte stava per bussare alla sua porta. Nelle ore diurne mendicava cibo e soldi, ma un episodio cambiò la sua vita. La storia è stata tramandata fino ai giorni nostri, ma si svolse nel XVIII secolo, periodo nel quale la diffusione dei pidocchi tra la popolazione veniva spesso causa dalle scarse condizioni igieniche. Un giorno si trovava in via Papireto dall’aromatario per fare la questua e un’inaspettata scena le ispirò una macabra idea per trarne profitto. Ella era spietata e disposta a tutto pur di raccimolare qualche briciola e la brama di guadagno le accecò la vista dai possibili pericoli in cui sarebbe potuta incorrere. Una mamma teneva tra le braccia la figlia sofferente che si contorceva per i dolori: aveva accidentalmente ingerito una lozione di aceto e arsenico che serviva ad eliminare i pidocchi. La giovane donna, angosciata per la vita della bambina, si recò istantaneamente dall’aromataio, che aveva preparato la lozione per i parassiti, per trovare una soluzione: egli fece bere dell’olio alla piccola che vomitò e ritornò in breve tempo in salute. Giovanna Bonanno, dopo aver assistito alla scena, decise di fare una prova: intrise un tozzo di pane nell’aceto per i pidocchi e lo diede da mangiare a un cane randagio. Legò l’animale al bastione di Porta d’Ossuna e l’indomani lo ritrovò privo di vita: nessuno pensò che fosse morto per avvelenamento, l’intruglio sembrava non lasciare traccia. Sapeva che alcune mogli volevano liberarsi dai mariti per vivere con i loro amanti e iniziò a preparare delle pozioni da far bere con l’inganno ai loro coniugi dietro un lauto compenso monetario. Morti inaspettate iniziarono ad avvenire nel paese e nessuno ne capiva la motivazione. “U Signuri ci pozza arrifriscari l’armicedda” (Il Signore possa rinfrescargli l’anima), affermava la “Vecchia dell’aceto” e nel mentre si faceva il segno della croce, gesto che fatto dalla vecchia megera, per via delle sue intenzioni criminali e degli effetti luttuosi da lei escogitati, sembrava essere una blasfemia. La ricompensa, però, era saldata solo dopo “la dipartita verso altri mondi” del malcapitato. Ma la sua brama di guadagno le fece, dopo poco tempo, ottenere quella fine che lei, sicura di sé e accecata dalla bramosia di denaro, non si aspettava: la pazzia si era impadronita della sua mente e la sua anima oscura trovava godimento ad arrecar danno agli altri e ad uccidere. Però, un giorno, inavvertitamente la pozione fu bevuta dal figlio di una sua amica stretta, che morì. La vendetta della madre del ragazzo contro Giovanna Bonanno, ormai ottantenne, arrivò subitaneamente: finse di voler acquistare un’altra pozione e al momento della consegna si presentò con quattro testimoni. Fu accusata di aver cagionato la morte per avvelenamento di svariate persone e, dopo il processo, fu condannata per veneficio e stregoneria. Venne rinchiusa a Palazzo Steri; il 30 luglio 1789 fu impiccata ai Quattro Canti. Si narra nella leggenda che la sua anima buia vaghi ancora tra le vie della città non trovando vie d’uscita da quel luogo, forse invasando altri corpi simili a lei.

(Rielaborazione della storia: dott.ssa Francesca Martino, nata a Varese – FM ’23)

Bibliografia e sitografia

“La vecchia dell’aceto, storia di un sicario di altri tempi” (.ITPALERMObyitaliani.it)

“Giovanna Bonanno, la vecchia dell’aceto” (StorieParallele)

“La vecchia dell’aceto: storia di una donna siciliana misteriosa e pericolosa” (Siciliafan) “